Skip to content

Intervista a Jarbas Faustinho Canè

Le quattro chiacchiere di oggi ci fanno fare un salto nel passato. Il protagonista di Napoli-Barcellona giocata l’altro ieri, Dries Ciro Mertens con  il suo attaccamento al Napoli e alla città partenopea riporta alla mente niente di meno che il grande  Jarbas Faustinho, in arte Canè, giocatore brasiliano arrivato a Napoli nel 1962 che conquistò i napoletani e venne  – a sua volta  – conquistato da Parthenope stessa. Oggi, a 80 anni, Faustinho Canè vive ancora alle falde del Vesuvio, tifa per gli azzurri e non smetterà mai di amare la città che lo accolse quasi sessant’anni fa.

Signor Canè, la prima domanda è legata ad uno striscione abbastanza singolare che al San Paolo la accomunava a Didì, Vavà e Pelè , con relativo ritornello inventato per lei dai napoletani. Come nascono? “Noi eravamo in serie B e, se non ricordo male, fummo promossi in A. Quell’anno raggiunsi la fama come calciatore, sia a Napoli che in Italia, e venne fuori questa frase che io ancora oggi reputo bellissima perché resterà nella storia del club. Ma per loro…Didi e Vavà erano più grandi di me e già affermatissimi, Pelè era mio coetaneo ma anche lui già un grandissimo. Per me era (e resta) una frase deliziosa, mi dava anche soddisfazione, però per loro era sicuramente un po’ riduttiva, ecco”.

Si narra che lei sia stato scelto direttamente dal presidente Achille Lauro, racconti di quando ha saputo di essere stato destinato al Napoli. Lei era poco più di un ragazzino, vero?  – “Nel 1961 ero in tournee con la mia squadra, l’Olaria, e giocavo nella serie A brasiliana. Eravamo all’estero, in giro per le Americhe, e c’èra quello che allora veniva definito impresario. Durante questa tournee l’impresario, che era portoghese, parlò con i miei dirigenti – avevo 16 o 17 anni – e chiesero se preferivo giocare in Europa o restare in Brasile, in una squadra più importante. Io scelsi l’Europa e non ci pensai su due volte: perché era come avverare il mio più grande sogno nel cassetto, pensi che all’epoca  fotografie gigantesche dei campionati europei erano su tutti i giornali sportivi brasiliani”.

Il suo calciatore preferito all’epoca? – “ Beh, sicuramente Didì, Vavà e Pelé! Sebbene costui fosse mio coetaneo. Poi c’era Omar Sivori, argentino. Era il mio idolo e non avrei mai immaginato di finire a giocare proprio a fianco a lui. Anzi, è lui che ha giocato a fianco a me quando è arrivato al Napoli, perchè io già c’ero.  Peccato che sia  arrivato solo dopo l’exploit con la Juventus”.

Si arrabbiò molto quando fu ceduto da Ferlaino al Bari, vero? – “Molto, è stato un dei torti più grandi che abbia mai subito dalla società. Pensi che prima di andare in vacanza in Brasile io avevo un ginocchio in disordine e, nonostante questo, avevo disputato tutto il campionato, con 34 presenze su 34. A fine anno ebbi un colloquio rassicurante con il medico e l’allenatore  Chiappella, i quali mi comunicarono di andare in ferie tranquillo, tanto sarei stato riconfermato, sebbene in scadenza di contratto. E allora sono partito per il Brasile tranquillo! Al ritorno, invece, sull’aereo uno steward improvvisamente mi mostrò il titolone di un giornale napoletano, “Lo sport”:  Canè trasferito a Bari. Che delusione! Se non fossi stato sposato sarei ritornato subito indietro. Insomma, nonostante avessi avuto una promessa dal nuovo presidente Ferlaino, dovetti mio malgrado accettare il trasferimento e proseguire la mia carriera a Bari per tre anni. Tornai a Napoli successivamente, con Vinicio allenatore”.

Il gol più bello che ha segnato con la maglia azzurra  – “Per me tutti i gol sono belli, ma se devo dirne uno in particolare, quello fatto contro la Juventus (14 ottobre 1973, nel 2-0 casalingo sulla Juventus, c’è anche la firma di Canè, che sarà uno dei migliori calciatori azzurri a fine stagione n.d.r.). Un incontro che il Napoli non vinceva da ben 12 anni. Quello fu anche il mio debutto nella squadra di Vinicio perché io arrivai a novembre – e lì ho subito  un altro torto, non ho avuto contratto dall’inizio di stagione ma solo a novembre – però sono stato felicissimo di aver vinto”.

Mi racconti del periodo in cui è stato stato allenatore – “Innanzitutto voglio precisare che non sono mai stato allenatore del Napoli. Ho iniziato con le giovanili, ho fatto i tornei di Viareggio con la Primavera e poi sono tornato di nuovo nelle giovanili, ho frequentato anche il supercorso ma non ho mai allenato la prima squadra. In Serie C ho vinto 5 campionati in Campania, ho allenato per ben 25 anni, ma non sono mai stato promosso in serie A, anche se, magari, lo meritavo. Mi è rimasto solo un grande rammarico”. Lei ha allenato le giovanili del Napoli e suo figlio Ivan, anche lui allenatore, addirittura un giovanissimo Lorenzo Insigne. Com’era allora il piccolo Lorenzo?  – “Lorenzo è cresciuto con mio figlio negli allievi. Io l’ho visto a 14 anni e ho pensato subito che fosse un fuoriclasse. Già allora faceva la differenza. Per me è un vero fenomeno. Due anni negli Allievi e successivamente la Primavera, poi è andato in prestito al Foggia, dove  – per sua fortuna  – ha trovato l’allenatore che lo ha lanciato prima in B e poi in serie A: mister Zeman”.

Un suo pensiero  – da allenatore e da tifoso – sul Napoli di questa stagione – “All’inizio mi ha meravigliato che un allenatore del potenziale di Ancelotti avesse accettato la piazza di Napoli. Uno che ha vinto tanto in Europa con grandi giocatori a disposizione, che accettava di venire qui riducendo il suo abituale cachet. Insomma, io conosco calcisticamente la piazza napoletana come le mie tasche e non puoi arrivare in una città del genere,  dopo tre anni fatti al top con Sarri e annunciare vinciamo il campionato. E, col senno di poi, i fatti mi hanno dato ragione. De Laurentis, invece, è un personaggio di un’intelligenza notevole,  ha fatto cose per il Napoli che, forse, neanche all’epoca di Maradona. Certo, con Diego si è vinto tanto, ma l’evoluzione societaria con De Laurentis, non ha avuto eguali: gli ultimi dieci anni sono stati fantastici, sempre tra le prime in Italia ed Europa. Ma, a questo punto, avrebbe dovuto avere un po’ di fame in più”.  Lei ammira Sarri? –“ Sarri è stato la perla di De Laurentis. Nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato su di lui. Io ho vinto un campionato di serie C col Sorrento, lui dal Sorrento è stato mandato via, ma poi? Guardi che ha fatto dopo: ha preso giocatori normali e li ha resi più che bravi con gioco e una stagione spettacolari! Insomma, tutto questo per dire che la crisi del Napoli non credo sia stata colpa dei giocatori perché quello che ha creato De Laurentis con le proprie mani, De Laurentis stesso lo ha distrutto. E Ancelotti si è reso parte attiva di questa situazione. Conosceva l’ambiente e arrivare dopo Sarri e i 91 punti, dichiarando addirittura di puntare più in alto è stato un errore. Ma lo dicevo già da allora. Così come dico da tempo che Insigne è un prodotto nazionale che va assolutamente valorizzato”.

Un’ultima domanda, Lei vive qui da molto, ha sposato una bella signora napoletana, ormai è partenopeo a tutti gli effetti ma le manca il Brasile e, soprattutto,  se tornasse indietro rifarebbe tutto quello che ha fatto? –   “Guardi, io ho il passaporto italiano da tempo, sono arrivato qua nel 1962. E’ chiaro che mi senta italiano e napoletano…ma sono anche brasiliano, perché le radici non si scordano mai!”

Comments (1)

  1. Quel gol di Canè lo ricordo benissimo, come l’abbraccio, successivo al gol, con Vinicio…gli saltò letteralmente in braccio…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna su